Docufilm “Terra a perdere”
18 aprile C. Civico

EventiNews

Ci sono storie che vanno raccontate perché a volte la verità giudiziaria è un finale che lascia l’amaro in bocca

 

Teaser Terra a perdere (youtube.com)

Criticare le esercitazioni militari, a maggior ragione se sono della Nato, non è di moda in questo periodo.
Ma in Sardegna, dove  hanno sede i due maggiori poligoni europei, la popolazione è stanca. Protestare, chiedere un alleggerimento delle servitù militari o semplicemente trasparenza, è difficile. Il dissenso viene criminalizzato. La protesta repressa a vari livelli: dalle operazioni giudiziarie che coinvolgono gli antimilitaristi all’ostracismo culturale per chi denuncia.
E persino scrivere una canzone rap può diventare un problema.

La pressione che subiscono i sardi è forte. Una pressione che neanche in Italia è compresa. Per gli italiani la Sardegna è l’isola delle vacanze e del mare. Solo stando qui si riesce a sentire il peso esercitato dalla lobby militare, un peso che abbiamo potuto toccare con mano quando i nostri testimoni sono stati chiamati in caserma e diffidati dal parlare con noi giornalisti.
È una questione di democrazia e sovranità popolare. I sardi si sentono sempre più “colonia” dello Stato italiano e della Nato, e la protesta antimilitarista si fonde e alimenta il vecchio sogno indipendentista.

“Terra a perdere” è un documentario a più voci che vuole dare spazio a quanti in Sardegna subiscono i danni delle basi militari e non trovano eco. Un reportage che ha richiesto due anni di lavoro e che spesso si è scontrato con la stanchezza di chi da accusatore è diventato accusato e non ha più voglia di parlare.
Allo stesso tempo, registra un forte fermento culturale, giovane e alternativo, pronto a prendere in mano i temi della protesta.

A novembre 2021 il tribunale di Lanusei ha assolto i generali che si sono succeduti a capo del poligono militare di Quirra (il PISQ) tra il 2002 e il 2010 e che erano a processo per “omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri”.
A distanza di due anni, le motivazioni che hanno portato a questa decisione non sono ancora note, nonostante la legge italiana preveda la pubblicazione entro 3 mesi.

Di dominio pubblico però ci sono i numeri: secondo la relazione di minoranza presentata alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio e i poligoni dal deputato ed ex presidente di Regione Sardegna, Mauro Pili, sono 168 i pastori e i militari che si sono ammalati di tumori emolinfatici intorno alla base.
Oggi sono quasi tutti morti.

Indipendentemente dall’esito giudiziario, le indagini hanno permesso di aprire una finestra sulle attività segrete che si svolgevano all’interno del PISQ. Come le esercitazioni con i missili Milan, la cui pericolosità era nota dagli anni ’90 perché impiegavano tracciatori radioattivi al torio; o lo smaltimento di armi e munizionamento obsoleto tramite interramento ed esplosione. Pratica che sollevava colonne di fumo alte centinaia di metri e disperdeva nell’aria nanoparticelle di metalli pesanti.
Un cocktail letale che chiamano inquinamento bellico.

Nulla l’inchiesta giudiziaria ha potuto svelare sui test che, ancora oggi, le grandi multinazionali effettuano sui nuovi armamenti. Su questo c’è il segreto più totale. Anche riguardo ai pericoli che potrebbe correre la popolazione.
E con la fine del processo sui veleni di Quirra è calato nuovamente il silenzio su queste tematiche. In attesa dell’apertura, a gennaio 2024, del procedimento per “disastro ambientale colposo” che vede alla sbarra cinque generali che si sono avvicendati al comando del poligono di Capo Teulada.

Un documentario a cura di
(in ordine alfabetico)
Fabio Palli, Chiara Pracchi e Simona Tarzia

Dal sito fivedabliu.it

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